"Radicale, perché", Sergio Stanzani
Radicale, perché
Di Sergio Stanzani
L’origine e le ragioni del mio divenire ed essere radicale - come lo sono stato e lo sono tuttora - risalgono a un tempo ormai lontano, col finire della guerra all’Università, a Bologna, quando incontrai Franco Roccella, presto divenuto compagno e amico unico e indimenticabile.
A Franco debbo - io che per età ho vissuto i tempi e gli orrori del potere fascista e della guerra ne più e ne meno come la gran parte degli italiani - le fondamenta di quella consapevolezza democratica, che hanno dato seguito ai prudenti insegnamenti “liberali” di mio padre: insegnamenti che io, figlio unico, solo con questo incontro ho compreso essere solidi e presenti in una famiglia “borghese e cattolica”, retta e difesa con grande vigore dalla onnipresenza di una madre di spiccata e moderna intelligenza.
Questa mia maturazione avviene in una realtà allora quanto mai ricca e stimolante che avvolgeva l’Università. La mia Università, quella di Bologna, che riviveva, con la Goliardia e le sue associazioni di studenti, le antiche tradizioni e i trascorsi della “Alma Mater Studiorum”.
Una atmosfera allora dovuta e rinnovata dall’essere, noi, ancora “vivi e in libertà”: più un sentimento, una sensazione di “stupore” che la percezione di una conquista, che avvolgeva in quei primi anni a Bologna lo “scolaro” così come in poche altre Università. E’ con la costituzione e la partecipazione delle associazioni goliardiche, già unite tra loro nell’Unione Goliardica Italiana, ai congressi dell’Unione Nazionale Rappresentativa Italiana – costituita a Perugia nel 1948 - che avviene il mio incontro con Marco Pannella e così inizia, ancora del tutto inconsapevole, il mio cammino verso il Partito Radicale. Vale a ricordare quei tempi la dichiarazione di Goliardia, approvata a Venezia nel febbraio del 1943, che qui sotto riporto, e poi la mia elezione a Presidente dell’UNURI per il biennio 1952-53.
"Goliardia è cultura e intelligenza, è amore per la libertà e coscienza della propria responsabilità di fronte alla scuola di oggi e alla professione di domani; è culto dello spirito, che genera un particolare modo di intendere la vita alla luce di una assoluta libertà di critica, senza pregiudizio alcuno, di fronte ad uomini ed istituti; è infine culto delle antichissime tradizioni che portarono nel Mondo il nome delle nostre libere Università di scholari."
Sono questi incontri con Franco e con Marco e gli anni del mio impegno universitario, prima in Associazione a Bologna e poi all’UNURI a Roma, che costituiscono un momento unico, essenziale e straordinario della mia vita, per la mia formazione e per il mio divenire ed essere radicale.
Non ricordo l’inizio di questo momento: il ricordo è oggi composto da attimi di presenza, di partecipazione, di azione, che riempiono un primo, lungo periodo di vita già “radicale”. Per l’ubicazione Bologna e per la frequenza e la consuetudine l’Università, dapprima si impone la presenza di Franco Roccella, detto “ciccio”, siculo di Riesi, già affermato cultore della lingua italiana e del latino nell’Università, inutilmente coccolato e inseguito dal Preside della Facoltà (Professor Calcaterra ) per farne il suo apprezzato assistente, ignaro che mai Franco si sarebbe laureato, così preso e tormentato come era dall’amore per Vandina ed Eugenia (la moglie e la figlia), per Riesi e la Sicilia (la sua terra) e il nostro Paese, preso e tormentato da un intimo e profondo bisogno di libertà, sospinto e alimentato dalla sua cultura, ma insofferente di vincoli e dinieghi, lui socialista ferito dalla scissione del suo partito, con noi allora liberali, impegnato, come fu e fummo, fin da allora, dal comune amore per la politica e la lotta per la libertà, il diritto e la democrazia.
Poi, a Roma, io e Franco con Marco, di entrambi più giovane, subito colpiti e coinvolti dalla sua spiccata e invadente personalità, sorpresi e ammirati per l’acuta intelligenza, un impatto certamente forte e ampiamente positivo, capace di interventi sempre corretti anche se o quando poco gradevoli o graditi. Di quegli anni un ricordo: Franco, Marco e io di sera, o meglio di notte, andavamo per via del Tritone a Roma, avanti e indietro, da Palazzo Chigi a piazza Barberini: cinque, perfino dieci volte, senza interruzioni per poi lasciarci ciascuno diretto verso una destinazione diversa (la pensione Estivi dove alloggiava Franco, via Collalto Sabina dove abitava Marco con i genitori e la sorella Liliana, via Dandolo accanto al Ministro della Pubblica Istruzione ove era la camera ove alloggiavo io ) accompagnate me, ma poi vi accompagno io, senza mai interrompere il discorso, il confronto con animazione, con vigore, alle volte perfino con violenza, ma sempre con stima, grande affetto e vera amicizia.
Così non posso dimenticare l’intensità dell’emozione provata per l’attenzione direttamente rivolta da Palmiro Togliatti a Pannella sul “Paese” e vivissimo è tuttora il ricordo del serrato sostegno di Marco a Franco nel succedersi dell’acceso confronto dallo stesso Franco aperto nel corso del dibattito politico con i partiti laici che diede corpo all’espressione poi, divenuta “regola” nella nostra storia, “NO all’unità delle forze laiche, SI all’unità laica delle forze”.
Sono questi ricordi che comprendono anche l’apporto dovuto al “percorso radicale” dall’impatto con la “sinistra liberale” e il “Mondo” di Mario Pannunzio, che costituiscono ancora un modello di comportamento oltre che un riferimento politico. Altri sono i momenti che segnano il lungo percorso della mia storia, meglio della mia “vicenda radicale”, dalla costituzione del primo Partito Radicale dei Liberali e Democratici Italiani di Bruno Villabruna e Niccolò Carandini nel dicembre 1955 a Roma, presto divenuto solo Partito Radicale a seguito dell’abbandono di parte dei costituenti iniziali, per arrivare alla costituzione del partito di Elio Vittorini e Marco Pannella nel 1963 e in fine alla approvazione dello statuto a Bologna nel maggio del 1967, statuto predisposto da un gruppo di lavoro designato dal convegno di Faenza nell’ottobre del 1966 da me presieduto.
Nel frattempo già nel 1953 con la laurea inizia anche la mia attività di lavoro nell’Ufficio Problemi del Lavoro dell’ENI di Enrico Mattei e, tenuto conto della mia esperienza maturata in ambito politico nelle organizzazioni universitarie, su indicazione del dottor Franco Briatico fui inviato per un anno a Torino a frequentare i corsi dell’IPSOA, istituto costituito da Fiat e Olivetti per interessamento di Adriano Olivetti con l’obiettivo della formazione ad opera di insegnanti statunitensi, di giovani laureati, in particolare ingegneri e dottori in economia e commercio, nel campo dei nuovi sistemi per l’organizzazione aziendale in atto nelle industrie più avanzate del loro paese. Solo per curiosità ricordo che era tempo nel quale la OLIVETTI s.p.a. affermata in ambito internazionale oltre che nel campo delle macchine da scrivere anche di quello degli elaboratori meccanici, dava vita a un primo prototipo di elaboratore elettronico di progettazione interamente italiana, l’ELEA, ad Ivrea, esemplare che purtroppo rimase tale, come buon esempio del nostro “bel paese”.
Il ricordo della mia permanenza a Torino all’IPSOA si conclude nel 1956, di ritorno dal nostro matrimonio con mia moglie, con la partecipazione particolarmente attenta e calorosa da parte di un ambiente apparso fino a quel momento chiuso e indifferente. Alla frequentazione dei corsi dell’IPSOA devo le successive esperienze nel campo dell’organizzazione aziendale e del personale prima all’AGIP e successivamente, sempre a Roma, in FINMECCANICA, azienda tuttora dell’IRI e che allora era, dopo la FIAT, il gruppo italiano più importante del settore meccanico. Conobbi così importanti esponenti del mondo del lavoro, sia padronale che sindacale, in particolare dell’INTERSIND, della FIOM e della CGL, tra questi, in particolare, Giuseppe Glisenti ed Ettore Massacesi da un lato, Luciano Lama e Ottaviano Del Turco dall’altro. Durante il lungo periodo di attività professionale (25 anni), mai mi astenni, anche per un solo momento, dal mio impegno politico di radicale, anche se con assiduità e intensità minori di quella precedente e di quelle successive. A questo proposito voglio ricordare un aspetto di un certo interesse: i Presidenti della Finmeccanica erano decisamente “democristiani doc” come lo erano Salvatore Magrì e Giorgio Tupini.
Col trascorrere del tempo era inevitabile che si ponesse il problema della mia “crescita” in azienda e l’obiettivo più ambito per i dirigenti dell’Azienda era la nomina a Direttore Centrale: purtroppo devo dire che ho dovuto attendere per quasi vent’anni di raggiungere l’obiettivo e finalmente lo raggiunsi - guarda caso - quando fu nominato Presidente un non democristiano (hai me!) un socialista (hai me, è giusto riconoscerlo) Camillo Crociani. Seppi poi, da fonte riservata, non direttamente interessata e assolutamente certa, che in precedenza, a dire il vero non senza rimostranze da parte del Direttore Generale che lo proponeva, il Presidente dichiarò più di una volta che “ Fino a quando il Presidente sarò io , un radicale non sarà mai Direttore Centrale della mia (sic!) Società”.
Nella seconda metà degli anni Cinquanta era avvenuto un terzo incontro che ha inciso in termini determinanti sulla mia vita, sulla mia storia radicale: l’incontro con Gianfranco Spadaccia. Dopo anni di comprovata amicizia maturata in anni di stretta collaborazione, alla sua forza di convinzione devo anche la mia accettazione a candidarmi alle elezioni politiche del 1979 assumendomi il ”rischio” di lasciare in caso di elezione la posizione conseguita con tanta fatica in Finmeccanica. A questo proposito a Gianfranco debbo poi anche di essere riuscito, una volta eletto, a superare il “terrore” di prendere la parola in aula, in quell’aula che tuttora mi ricorda lo sgomento di quando vi posi piede per la prima volta dopo che il Presidente Fanfani comunicò la mia elezione in sostituzione di Marco Pannella a seguito delle mie dimissioni dalla Camera ove io ero stato eletto.
Vivissimo è il ricordo del silenzio, le luci, il rosso intenso delle tappezzerie, la dimensione compatta e solenne dell’aula del Senato, tanto diversa - a dire il vero - da quella della Camera dei Deputati: è un ricordo tuttora così intenso e pregnante che mi richiama tra l’altro anche la sensazione provata -ahi me- di trovarmi, di essere veramente nel ”tempio”della libertà e della democrazia”. Non sapevo, non immaginavo che cosi come non lo fu allora non lo sarebbe stato neppure oggi.
A questo ricordo si accompagna quello dello sgomento da me provato quando Gianfranco - ancora lui - mi costrinse a prendere la parola e a reggere per più ore (cinque o sei, non ricordo più bene) un tempo per me allora infinito, benché fosse ben poca cosa rispetto alle 12–18 ore di Roberto Cicciomessere, Massimo Teodori, Gigi Melega e Marco Boato e altri - oltre allo stesso Spadaccia - che distinguevano “l’ostruzionismo oratorio” che i radicali alla Camera e al Senato (dove anche in quella occasione eravamo solo in due ) erano impegnati - mi pare ricordare - in una iniziativa contro le cosiddette “norme antiterrorismo”, giudicate da Leonardo Sciascia antidemocratiche, che erano a sostegno del diritto contro il prevalere del potere, azione “nonviolenta” diremmo oggi, volta alla ricerca dell’affermazione della verità: “satyagraha”.
A questo punto la memoria mi sollecita il ricordo di un primissimo momento di vita parlamentare che nel ricordo di mio padre mi ha indotto al rispetto per le istituzioni che era il suo, rispetto poi in me confermato e accresciuto nelle e dalle nostre convinzioni. Il giorno che per la prima volta presi la parola in Senato, ovviamente su di un argomento di non grande rilievo e quindi con l’aula semideserta, mi sorprese la presenza di Giovanni Malagodi, allora Segretario del Partito Liberale Italiano che sapevo essere non sempre attento agli aspetti sostanziali di democrazia, specie se “diretta”. Ancor più mi sorprese vedere questo “ importante personaggio” alzarsi dal suo banco, venire verso di me, stringermi la mano e congratularsi. Mi fu poi spiegato che così si usava in Parlamento, fin dall’epoca sabauda,
quando un suo membro prendeva la parola per la prima volta.
Si tratta di un episodio che può apparire insignificante, che tuttavia aggiunse per me valore a quella “forma” da mio padre tanto apprezzata quanto da me non lo era stata, come segno di affermazione e di conquista. In quel momento, in quella sede, quella persona con il suo gesto di “forma impeccabile”, mi fece toccare con mano la sostanza del valore che voleva trasmettere, così come oggi vuole e deve essere per noi radicali.
Delle elezioni politiche ricordo con emozione i comizi a Bologna, la mia città, in piazza Maggiore, sotto palazzo di Re Enzo quando intervenni la prima volta, prima di Marco nel luogo del predominio assoluto del comunismo italiano, con il sostegno dei compagni radicali, alla presenza di parenti e amici perfino commossi, di un notevolissimo numero di cittadini che a me apparivano tanti, perfino troppi e che accorrevano ad ascoltare Marco, sempre lui capace di suscitare un entusiasmo che poteva anche indurre alla tentazione ragionevole di credere a quel successo meritato, dovuto allora come oggi, ma purtroppo per lo più negato.
Ho preso parte a quattro legislature consecutive, due al Senato e due alla Camera con l’intermezzo di una legislatura che, essendo divenuto nel frattempo Segretario del Partito, in ossequio a una norma consuetudinaria di comportamento non sancita dallo statuto, mi sarei
dovuto dimettere ed io a scanso di equivoci non mi volli candidare, certo come ero della elezione.
Degli anni 70 ricordo con commozione quando con moglie e figli ci recammo all’albergo Minerva a trovare Marco in digiuno non ricordo ora di quanti giorni, un numero comunque “impossibile”, ma ricordo il volto di Gianna e dei miei figli nell’intravedere Marco che lentamente si spostava per refrigerarsi per pochi attimi nel bagno. Così come ricordo l’entusiasmo irripetibile per il risultato ottenuto con il referendum sul divorzio a Roma, vissuto vicino prima ad “ABC” di Sabato e poi al “Messaggero” di Sandro Perrone, proprietario e direttore poi fatto fuori da entrambe le “occupazioni”.
Cosi non posso certo dimenticare l’occasione del solenne ricevimento in Campidoglio da parte del Sindaco, Francesco Rutelli, in occasione della firma dello statuto del Tribunale Penale Internazionale discusso e approvato dai rappresentanti degli Stati Parte alla presenza del Segretario delle Nazioni Unite Kofi Annah, evento di indiscussa portata internazionale sostenuta e patrocinata dal Governo Italiano a seguito e con la preziosa e assidua attività di “Non c’è Pace senza Giustizia” allora presieduta da Emma Bonino con la collaborazione di Gianfranco Dell’Alba e mia oltre ad altri compagni .prima tra tutti Antonella Spolaor in Dentamaro. Ricordo che mentre si svolgeva la cerimonia Marco si trovava in ospedale in preoccupanti condizioni di salute.
A metà di questo decennio prende il via la vicenda dell’emittente televisiva “TeleRoma 56” che nasce nella vecchia autorimessa della villa di Bruno Zevi in via Nomentana per iniziativa oltre che sua dello psichiatra Guglielmo Arcieri , che inizia a trasmettere via cavo ancor prima che la “famosa” sentenza della Corte Costituzionale le consentisse, prima emittente romana, di trasmettere via etere. Quella di “TeleRoma 56” è una parte significativa della mia storia radicale mi impegna pressoché ininterrottamente fino a non molto prima della acquisizione da parte della famiglia Caltgirone. Col trasferimento prima a via della Balduina e poi a Fiano Romano l’emittente, presto divenuta le prima emittente “locale” della Capitale, partecipa attivamente da un lato allo scontro affrontato dalle emittente locali, organizzare nella FRT, prima nei confronti del monopolio di stato, la RAI, poi successivamente quello privato di MEDIASET. E’ stata una vicenda di grande interesse che mi ha visto vicino per un lungo periodo a momenti importanti non solo per le affermazioni aziendali distinte dalla presenza e dall’impegno di molti coloro di coloro, giornalisti e protagonisti, diventati poi tra i più famosi, in particolare, ma non solo, nel campo dello sport, in quello della culture e soprattutto politico.
Tralascio di ricordarne anche uno solo, perché certamente rischierei di essere ingiusto o partigiano, tra coloro che fanno parte dei due primi settori, diverso è in discorso per quanto riguarda la politica ove emerge, prorompente, il Partito Radicale, potrei dire con tutti i suoi principali protagonisti a partire naturalmente da Marco. Essenziale l’apporto di “TeleRoma 56” alle campagne elettorali degli anni ‘70 e ‘80 ed ai successi ottenuti con i primi 4 eletti nel 1976, con i 20 eletti nel 1979 (tra i quali vi fu Leonardo Sciascia) e fino al 1992 con la presentazione della “prima lista che ha un nome”: la “Lista Pannella”, come per l’intero periodo con i fili diretti e le trasmissioni e gli interventi notturni in occasione delle campagne per i referendum e le iniziative nonviolente. Altri elementi distintivi del mio essere stato ed essere tuttora “radicale storico” sono la mia elezione a Segretario del Partito a Bologna nel gennaio 1988 dal XXXIV° Congresso con Bruno Zevi Presidente e Paolo Vigevano Tesoriere e, l’anno successivo, il XXXV°, che si tiene a Budapest e segna con la costituzione del “quadrunvirato” ( Pannella, Bonino Stanzani e Vigevano) il passaggio al Partito Radicale Transnazionale e Transpartito, poi divenuto anche Nonviolento.
Concludo queste mie note “storiche” di radicale assiduo e convinto,tuttora sorpreso della forza di RESISTERE che ho avuto in virtù delle indubbie capacità di Marco esaltate dalla straordinarietà e vastità di visione e interpretazione politica e dal sostegno avuto anche nei momenti più difficili, (sono stati e sono tanti), dai miei amici e compagni, con un ricordo dell’ultima legislatura da me trascorsa in Senato nel 1994 quando ero Vicepresidente del Gruppo di Forza Italia, responsabilità di cui sono orgoglioso proprio per la particolarità e la difficoltà di quell’incarico, segnato in particolare dall’effetto avuto per al partecipazione da me intrapreso di quasi 40 colleghi, in massima parte del mio Gruppo, ad un mio digiuno intrapreso per 38 giorni al quale fece seguito la rappresentazione dei “nudi” al Teatro Flaiano di Roma, con la partecipazione dei compagni Rita Bernardini, Lucio Bertè, Giorgio Cusino, Lorenzo Strik Lievers, Mariano Giustino, Paolo Vigevano, Frateloreto, oltre alla mia.
Altro potrei aggiungere a queste ragioni del mio essere stato per tanto tempo ed essere tuttora RADICALE fa parte di momenti recenti e per altro conosciuti. Un abbraccio e RESISTERE; RESISTERE ancora e FINO a QUANDO?
Certamente fino a quando il nostro Paese con il nostro indispensabile contributo sarà capace di risolvere il “caso Italia” assicurando ai propri cittadino LIBERTA’, DIRITTO E DEMOCRAZIA.